Costruttori di pace in tempi di fragilità: dalla lezione della storia alle sfide di oggi

1. Il riconoscimento dell’UNESCO e il valore della memoria storica. 
 
L’evento che qui, oggi si commemora quest’oggi costituisce un forte stimolo alla riconoscenza, alla riflessione e all’impegno. Il riconoscimento, dato cinque anni fa dall’UNESCO al Duomo di Monza come monumento “testimone di una cultura di pace per l’umanità”, e a Teodolinda, quale protagonista della vita della città e dell’evoluzione politica e sociale dell’Italia del tempo, ci chiede di conoscere e comprendere al meglio gli eventi che lo hanno meritato, per trasmetterci un insegnamento e rendere – permettetemi il termine – “utile” per noi oggi questa ricorrenza. La storia è una fonte ricchissima di spunti e di insegnamenti, che è sempre ingenuo e disastroso ignorare, a causa della superficialità o della fretta, o ancora della presunzione che il nostro tempo sia il culmine e il compimento di quelli precedenti, dai quali ormai ha raccolto tutte le ispirazioni di cui aveva bisogno. 
Al contrario, la storia non si lascia strumentalizzare, ma va ascoltata con rispetto e umiltà, nel tentativo di interpretarla al meglio, per ricavarne suggerimenti e moniti. Accostarsi in questo modo alla storia non è un’operazione da vecchi: non è l’attività di chi non si sente più a suo agio nel mondo che ha attorno e vuole nostalgicamente richiamare i tempi passati. Al contrario, mettersi a scuola della storia è un’operazione giovane e da giovani, di chi non si rassegna ai problemi che lo circondano ma cerca soluzioni, e si dice pronto a impegnarsi in prima persona e a collaborare, a combattere e a rialzarsi ogni qual volta gli accada di imboccare la via sbagliata. 
Di grande interesse mi pare, a questo proposito, quanto ha scritto K. Popper nelle pagine che accompagnano l’edizione in lingua russa della sua opera Società aperta: «Molti considerano la storia come un fiume possente che fa scorrere sotto il nostro sguardo le sue acque. Vediamo come questo fiume fluisce dal passato, e se siamo abbastanza esperti, possiamo predire, almeno per grandi linee, come fluirà oltre. A molti questa sembra un’analogia felice. Io invece ritengo che essa sia non soltanto falsa, ma anche immorale. La storia finisce oggi. Ne possiamo trarre sì delle lezioni, ma il futuro non esiste ancora, ed è proprio questa circostanza a riporre su di noi un’enorme responsabilità poiché possiamo influire sul futuro, possiamo applicare tutte le nostre forze per farlo migliore». 
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+ Nunzio Galantino
Segretario Generale della CEI
Vescovo emerito di Cassano all’Jonio
 
Monza – S. Pietro Martire - 9 giugno 2016
 

La festa della riconciliazione

Ci sono quelli che iniziano dicendo: “Non so che cosa dire”. Ci sono quelli che obiettano: “Non capisco perché dovrei dire al prete i miei peccati”. Ci sono quelli che parlano a lungo, di tutto, amarezze, dolori, ingiustizie: parlano di tutto, eccetto che dei loro peccati.  Insomma sembra che il sacramento sia tutto lì, nelle parole di chi si confessa.
Forse anche per questo per alcuni la confessione è una fatica, un imbarazzo, e molti non si confessano.
Ma il sacramento della confessione si chiama anche sacramento della riconciliazione, per dire che il sacramento non si riduce all’opera dell’uomo che si dichiara peccatore elencando i suoi peccati: è piuttosto l’opera del Padre misericordioso che accoglie, perdona, fa festa per il figlio che torna scoraggiato e ferito per la sua vita sbagliata.
Ecco: una festa!
La festa non si può celebrare in solitudine, di nascosto. Ci deve essere gente, ci deve essere gioia e musica, affetti e cose  buone. La festa della riconciliazione dei peccatori pentiti è evento di Chiesa. Così si celebra il perdono di Dio: insieme!
Insieme si riconosce che i propri peccati sono un danno anche per gli altri.
Insieme si sperimenta che perdono sperimentando che c’è una comunità che condivide la tristezza del peccato e la gioia della riconciliazione.
Insieme si riprende il cammino verso la santità non come l’impresa solitaria, ma come grazia sostenuta da tutto il popolo santo di Dio.
I preti sono, anche loro, peccatori in cammino verso la santità. Perciò sono confessori, ma anche penitenti. Si confessano e sperimentano la gioia del perdono. Fanno festa, perché sperimentano la misericordia di Dio.
Per questo nella festa di san Carlo, il prossimo 4 novembre, i preti si trovano tutti in Duomo a Milano per celebrare insieme il sacramento della confessione e la festa della riconciliazione. Si può immaginare che la gioia e la forza di quel momento condiviso siano un buon motivo per ingegnarsi a salvare il sacramento della confessione dalla sua riduzione individualistica. Diventerà festa condivisa in ogni comunità che accoglie la misericordia di Dio.
 
S.E. mons. Mario Delpini
Vicario Generale
Arcidiocesi di Milano

Milano, 26/10/2016


Naturale/Artificiale. Cosa sta diventando la vita?

I Dialoghi di vita buona ripartono, con l’intenzione di aiutare la Milano, che si vede sempre più nei panni della metropoli europea, a trovare occasioni per ragionare sulle questioni che decidono il nostro futuro. Non ha senso dividersi in modo pregiudiziale, senza aver ascoltato le ragioni dell’altro: solo da un confronto reale e profondo può nascere quella stima che fa da base ad ogni legame sociale.
Lo scorso anno ci eravamo cimentati con la tematica dei confini, affrontando la questione delle migrazioni e la sfida che rappresenta per l’Europa. In questo secondo anno i Dialoghi assumono come filo conduttore il tema della tecnica e l’influsso che ha nella vita umana. Da qui il titolo complessivo: Naturale/Artificiale.
L’esperienza diretta ci mostra come le invenzioni tecnologiche stanno trasformando la nostra vita. L’impressione che ne traiamo è che tra naturale e artificiale gli spazi di contiguità siano sempre più ridotti. Si respira un clima di contrapposizione e una voglia di supremazia: la natura deve essere superata.
Vogliamo il superuomo. Il mondo della ricerca ci insegna che i confini tra naturale e artificiale si vanno confondendo, facendo nascere la possibilità di un potere di manipolazione inimmaginabile. Nello scenario nuovo che si va delineando, dominato dalla tecnica e dalle scoperte scientifiche, come ritrovare lo spazio dei valori fondanti la nostra vita?
Naturale/Artificiale. Il dominio assunto dal secondo termine permette all’essere umano di potenziare il suo desiderio. Più di un pensatore legge nello sviluppo della tecnologia il riflesso assunto dal nostro desiderio mai sopito di immortalità. Come leggere e comprendere i mutamenti che un simile modo di pensare genera sulla comprensione che l’uomo ha di sé? I Dialoghi sono un ottimo spazio per istruire il dibattito su mutamenti così grossi e al tempo stesso basilari per la costruzione della grammatica di comprensione della vita umana.
Naturale/Artificiale. Il mondo della cura, in tutte le sue dimensioni e in tutti i suoi significati (educativo, medico, istituzionale, religioso), è uno dei luoghi più coinvolti e toccati dalle trasformazioni in atto. Come rideclinare il concetto di potere, quale contenuto dargli, quali buone pratiche mostrare: anche questo è uno degli obiettivi dei Dialoghi.
Naturale/Artificiale. La tecnica si presenta oggi come un buon surrogato di ciò che era l’esperienza religiosa. Oggi ci si affida alla tecnica, convinti della sua onnipotenza. Le religioni non possono non sentirsi sollecitate. Per noi cristiani la sfida è lanciata: in questo mondo dominato dalla tecnologia occorre essere capaci di rendere ragione della nostra fede nel Dio di Gesù Cristo, testimoniando che l’amore è un “superparadigma” capace di battere il paradigma del superuomo: anche questo è sicuramente uno degli scopi dei Dialoghi di vita buona, che ci permette di comprendere l’utilità di un simile strumento per la costruzione di una Milano veramente metropoli d’Europa.
 
mons. Luca Bressan
Vicario Episcopale per la Cultura, la Carità, la Missione e l’Azione Sociale
Arcidiocesi di Milano

Milano, 17/10/2016


La vita buona del Vangelo tra presente e futuro:
la proposta di pastorale giovanile per l’anno pastorale 2016-2017

Il cammino dell’anno pastorale che inizia continua  con lo stesso obiettivo dell’anno precedente: educarsi al pensiero di Cristo, assumere lo sguardo di Gesù. Alla domanda: “tu come la pensi?” dovremmo riuscire a rispondere non solo offrendo un’opinione personale ma rendendo evidente il pensiero di Cristo, facendone cogliere tutta la forza, la bellezza,  la verità. Siamo inoltre nel pieno dell’Anno Santo della Misericordia. Sappiamo che la misericordia è l’essenza del pensiero di Cristo, è come il cuore per l’occhio: se il cuore è ripiegato su di sé, gli occhi si ammalano e tutto si sfuoca. Vogliamo dunque raccogliere nell’anno pastorale che abbiamo davanti l’eredità del Giubileo della Misericordia, unendo insieme il pensare e l’agire, il valutare e il decidere, perché – come ci ricorda l’apostolo – “a spingerci è l’amore di Cristo” (2Cor 5,14).
il testo guida per la Pastorale Giovanile scelto quest’anno è Mt 19, 16-22. Il protagonista è un giovane animato da un grande desiderio di vita. il suo incontro con Gesù potrebbe dare pieno appagamento a quanto egli cerca con verità, ma i beni posseduti si frappongono tra lui e il Signore della vita, ed egli se ne va triste. Il desiderio di vita vera anima il cuore di questo giovane, ma prima ancora anima il cuore di Gesù. Egli sa che dall’accoglienza del suo invito dipenderà il raggiungimento di quanto quest’uomo desidera. È l’appello del Vangelo, decisivo, che arriva alla coscienza libera, domanda fiducia totale, coraggio di assumere il suo pensiero. In gioco c’è la gioia di vivere, la letizia interiore, la beatitudine che Gesù annuncia.
In questa direzione muove dunque quest’anno il nostro cammino con i giovani e i ragazzi, alla scuola di colui che, come vero Signore  della vita, chiama a seguirlo nella libertà. Questo ci è chiesto: concentrarsi sull’essenziale per sentire tutta la forza della voce del Signore; lasciarsi guidare da lui a riconoscere con umiltà i lacci che tengono avvinta la nostra libertà  e ci impediscono di dare compimento ai nostri desideri più veri. Una promessa accompagna questo invito a scegliere nella libertà di stare con lui: “Chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12).
 
S.E. mons. Pierantonio Tremolada
Vescovo
Vicario Episcopale per l'Evangelizzazione e i Sacramenti

Milano, 27/09/2016

 


Editoriale per l’avvio dell’anno pastorale 2016/17

Forse nei calendari parrocchiali e nelle agende degli impegnati non ci sono più date disponibili.
Forse alla gente l’anno pastorale appare come un insieme di iniziative stentate perché “siamo sempre meno e sempre più vecchi”.
Forse sui bollettini parrocchiali non c’è più spazio per nuovi annunci.
Allora, che pur con tutta la  buona volontà, delle indicazioni dell’Arcivescovo per l’anno pastorale 2016/17 non se ne farà nulla.
L’Arcivescovo infatti propone di lasciarsi condurre dallo Spirito di Dio a configurare un nuovo volto di Chiesa, una Chiesa riformata dalla docilità allo Spirito nell’”assecondare la realtà”.
 
La realtà è la famiglia nella complessità delle sue forme e delle sue storie: la proposta pastorale non chiede alle famiglie ulteriori impegni per essere “soggetti di evangelizzazione”. Piuttosto trova modo di accompagnare la vita ordinaria di ciascuna famiglia per aiutarla ad essere luogo di Vangelo: nel dare la vita e nel custodirne la buona qualità si rivela anche il significato della vita e la sua vocazione. Che valga la pena di propiziare l’ascolto della Parola di Dio in famiglia e la partecipazione alla Messa domenicale?
 
La realtà è la pluralità di presenze personali e associative: la proposta pastorale non vuole organizzare una spartizione di compiti, spazi e potere, né includere alcuni ed escludere altri. Piuttosto vuole alimentare un senso di comunione, così che il dono di ciascuno sia per l’edificazione di tutti. Che valga la pena di invitare tutti a partecipare alla Messa domenicale?
 
La realtà è la società nella sua molteplicità di componente: la proposta pastorale non presume di esercitare una egemonia nella società plurale, ma offre a uomini e donne di questo tempo la testimonianza di una speranza affidabile. In altre parole vive la fede in modo che diventi cultura. Che valga la pena di incoraggiare i cristiani a conversare con colleghi, amici, vicini di casa sulle cose serie della vita?
 
S.E. mons. Mario Delpini
Vicario Generale
Arcidiocesi di Milano

Milano, 13/09/2016